Enzo Mari “I Vulcanelli”

“I Vulcanelli”
mostra di Ezio Colombrino ideata ed allestita da Enzo Mari – 1986

 

UN VULCANO BAMBINO
(lettera di Enzo Mari a Bruno Danese)
dal catalogo della mostra “un vulcano bambino” – Galleria Bruno Danese – Milano – novembre 1986

Caro Bruno,
più volte abbiamo discusso l’opportunità di utilizzare il piano terreno
delle tue sale di esposizione per mostre non direttamente
attinenti alla tua produzione.
Il fine dovrebbe essere quello di promuovere momenti di ricerca
anche per coinvolgere nuove potenzialità progettuali,
nella speranza di una prospettiva che non sia
quella dell’attuale “made in design”.
Tra gli allievi che hanno seguito un mio corso al Politecnico di Milano,
uno in particolare, ha realizzato degli alcunché che forse
si potrebbero mostrare in questo programma di esposizioni.
Si tratta di uno strano oggetto che sembrerebbe appartenere
allo sperimentalismo perverso dei nostri giorni,
ma ritengo non sia così. È un piccolo vulcano.
Mi è subito piaciuto anche per il mio amore per i vulcani.
Ne sono esempio la serigrafia disegnata negli anni scorsi
per la tua produzione e anche il progetto “Operazione Vesuvio”
per la Galleria “Il Centro” di Napoli, oltre ad una collezione
di cartoline e quattro o cinque scalate di vulcani.
Mi sembra di capire che il vulcano, con la sua sola presenza,
metta in dubbio il rapporto che l’uomo, oggi in particolare,
ha instaurato con la Natura.
Dal vulcano sono scaturiti gli elementi che hanno dato
origine alla vita ed ancora oggi è la manifestazione più
visibile della deriva dei continenti, del loro separarsi
o sovrapporsi, quindi del rinnovamento continuo delle
condizioni necessarie alla vita.
Anche il vulcano, come tutto ciò che è naturale,
viene oggi aggredito da una artificializzazione
totalmente degenerata.
Ciò appare evidente nelle zone densamente popolate come l’Italia.
Tuttavia lui sa difendersi e, in una accezione panteistica,
come un dio (al quale non si può opporre aduna resistenza)
fa tabula rasa.
In questo mondo di orologi a cucù non posso che stare
dalla sua parte anche se, me ne rendo conto,
questo mi fa regredire (forse?) a forme primitive di sacralità.
Ma parliamo del piccolo vulcano, nel senso di vulcano bambino,
oppure, come dice l’autore, chiamiamolo “vulcanello”.
Parliamo del perché è stato fatto e del perché mi sembra
bello a parte gli aspetti simbolico-sacrali dei quali ho appena detto.
Per dire perché è stato fatto occorre un accenno
all’argomento di una mia lezione e all’effetto che
ha avuto su Ezio Colombrino che ne è diventato l’autore.
Opinione comune degli studenti è come oggi sia difficile
realizzare progetti significativi (tutto sembra essere già stato fatto)
dimenticando, in questo modo, che il progetto si determina solo
come negazione dell’esistente.
Le negazioni degli anni “60” e “70” hanno prodotto,
nel bene e nel male, il loro effetto.
Il problema è che oggi le cose da negare sono “altre”
(“altre” nel senso di non ridursi al manierismo all’interno
di una gamma di negazioni oramai chiaramente predeterminate).
Agli studenti delle scuole del Sud, che aggiungono anche
la difficoltà della mancanza locale di imprese di produzione,
rincaro la dose dicendo che per loro stessi e per il Sud in generale,
in luogo di addestrarsi al mestiere dell’architetto,
dovrebbero addestrarsi al mestiere dell’imprenditore.
Oltre tutto l’esperienza ci dice che al loro inizio quelli
che sono oggi gli imprenditori più qualificati del “design”
(i Gavina, tu stesso, gli Zanotta…) se disponevano di un
capitale di cultura erano pressoché sprovvisti del capitale danaro.
Ezio Colombrino, napoletano, è colpito da queste argomentazioni.
Pur mancando di forme anche irrisorie di capitale decide di tentare.
Si tratta intanto di capire cosa produrre nel contesto di Napoli.
Esaminiamo diverse tipologie e ci soffermiamo
su quella del souvenir.
Di questa (piaccia o no, ma cerchiamo di entrare
nella forma mentis dell’imprenditore) c’è sempre richiesta.
Il turismo è la maggiore risorsa nazionale.
Analizziamo anche le tre fasce di mercato:
la bassa, la media, la alta. Le bancarelle e le boutiques
di Venezia danno ampia risposta alle tre fasce:
dalle gondolette di zama dorata ai vetri soffiati di diversa qualità.
A Napoli si trova solo la produzione di qualità inferiore
a meno che non ci si voglia rivolgere al mercato dell’antiquariato.
Dunque, si potrebbe tentare realisticamente una produzione
per il mercato medio-alto.
Nella città esistono ancora molti vecchi artigiani e,
in numero di gran lunga maggiore, giovani “disoccupati”,
disponibili forse ad investire il capitale tempo.
Quindi, si tratta di formare una cooperativa.
Ezio Colombrino si dà un gran da fare, cerca di formare
la cooperativa con alterne fortune: spesso i partners cambiano.
Nasce l’idea di due produzioni collaterali,
una che possa dare subito reddito, destinata al mercato medio-basso,
tenendo presente che alcuni soci della cooperativa
non possiedono né bagaglio di mestiere né di cultura,
l’altra di più alta qualità.
Si ricercano i simboli più semplici della città:
Pulcinella (e si decide di chiamare la cooperativa
“calimone” che è la parola gergale che indica
il gesto di irrisione, tipico di questa maschera),
il sangue di San Gennaro, il Vesuvio… Un giorno
Ezio mi mostra alcuni “vulcanelli”.
Sono realizzati con brandelli di lava “vescicolare”
cercati sulle pendici del vulcano e molto difficili da trovare.
Quelli grigi si trovano sul Monte Somma,
e quindi risalgono a periodi precedenti l’eruzione pliniana;
quelli rossi (in gergo cataracchie) sono più recenti.
Dopo aver trovato e scelto le pietre, la lavorazione
si limita allo spianamento della base e allo scavo del cratere,
senza alcun intervento sulla forma del piccolo vulcano.
Gli strumenti sono quanto di più primitivo abbia mai visto:
una zappetta e una vecchia lima a mo’ di scalpello.
Lasciando cadere nel cono un alcunché che produca fumo:
un mozzicone di sigaretta, un bastoncino di incenso,
o un “tricche tracche” (uno dei tanti fuochi d’artificio
che si trovano sulle bancarelle napoletane)
l’effetto è sorprendente.
Il piccolo vulcano è vivo… È vivo al punto che
il mio rispetto sacrale per i vulcani mi proibisce
di pensarlo come un souvenir… Voglio aggiungere ancora
qualche parola sulla sua qualità formale.
Negli oggetti di recente produzione spesso si nota
la ricerca di matericità.
Sovente si tratta di materia rielaborata o artefatta.
In questo caso, forse irripetibile per la sua anomalia,
la materia non è stata rielaborata (ci si è limitati
a spianare una base e a praticare un foro:
se tali operazioni non fossero necessarie “i vulcanelli”
sarebbero veramente i figli di Vulcano).
In un panorama dove tutto è e deve essere rielaborato
questo “vulcanello”
mi sembra un segno da ricordare.

Enzo Mari
giugno 1986

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Ezio Colombrino con il suo grande mentore Enzo Mari – nov. 1986 – Danese Milano (ph: Benvenuto Saba)
Ezio Colombrino ed Enzo Mari – Galleria Bruno Danese Milano nov. 1986 (ph: Benvenuto Saba)
Ezio Colombrino con il suo professore Achille Castiglioni (ph: Benvenuto Saba)
Bruno Munari ed Ezio Colombrino (ph: Benvenuto Saba)
Ezio Colombrino espone a Bruno Munari “il Vulcanello” (ph: Benvenuto Saba)

English Text

Enzo Mari “I Vulcanelli”

Naples souvenirs – Ezio Colombrino ed Enzo Mari

Small lava rock volcano of Vesuvius (ph: Benvenuto Saba)

Small lava stone volcano of Vesuvius

Dear Bruno,

on several occasions we have talked about whether we might use the ground floor of your showrooms for exhibitions not directly related to your production.   The purpose should be to encourage certain areas of research and also to involve fresh design potential, in the hope of a prospect different to that of today’s “made in design”.  

Among the students who attended a course of mine at the Milan Politecnico University, one in particular has been doing some things that could perhaps be shown in this programme of exhibitions. I refer to a strange object which looks as if it might belong to the perverse experimentalism of our day, but I don’t think it does. It is a small volcano.

It appealed to me at once also because I happen to be very fond of volcanoes. Take for example the silkscreen print designed in recent years for your products, and “Operation Vesuvius” for the Galleria “Il Centro” in Naples – not to mention a collection of postcards and four or five volcano ascents.   To my mind the volcano, by its presence alone, casts doubt on the relationship which man, today in particular, has established with Nature. From the volcano sprang the original elements of life, and it is still today the most visible manifestation of the drifting of the continents, of their separation and overlapping: and hence, of the continuous renewal of the conditions necessary for life.  
The volcano too, like everything natural, is today being attacked by an utterly degenerate artificialization.   This can clearly be seen in densely populated areas like Italy.   Nevertheless the volcano knows how to defend itself and, in a pantheistic sense, like a god (against whom no resistance can be put up), it is a tabula rasa.  

In this world of “cuckoo clocks” I cannot but take sides with it, although, l realize, this sends me back (perhaps?) to primitive forms of sacrality. But now let’s turn to the small volcano, in the sense of a baby volcano, or, as its creator calls it, a “vulcanello”. Let us talk about why it was made and why I find it beautiful apart from the symbolico-sacral aspects just mentioned.   To say why it was made entails a brief mention of the subject of one of my lessons and of its effect upon Ezio Colombrino telo became the author of this baby volcano.   It is widely held among students today that it is dificult to achieve meaningful designs (everything eel to have been done already), whilst forgetting, however, that design only comes about as the denial of what exists.  

The denials of the ’60s and of the ’70s produced, for better or worse, their effect.   The trouble is that today the things to be denied are “different”( “different” in the sense that they are not reduced to mannerism within a range of now clearly predetermined negations).   To the students of schools in the South, who have the added difficulty of a local lack of industry, l must rub it in by saying that for their own benefit and for the South, in general, instead of training as architects, they should be training for the raft of entrepreneurship.   Apart from anything else, experience tells us that when they started the best industrial entrepreneurs of “design” today (the Gavinas, ourself, the Zanottas…), whilst they could count on cultural capital, were practically without any financial capital.  
Ezio Colombrino, a Neapolitan, was struck by these lines of argument. Although he lacked even the most rudimentary forms of capital, he decided to make an attempt. First of all, he had to think about what to produce in the context of Naples.   Let us examine different typologies and pause to consider that of the souvenir.   There is always a demand (like it or not, but we shall try to enter the entrepreneur’s mind) for this.   Tourism is the biggest national resource. Let us also analyse the three market sectors: the low, the middle and the upper.   The stalls and the boutiques of Venice provide an ample   response to all three: from the gilded tin gondolas to varying qualities of blown glassware.   In Naples can be found only the lower quality products, unless you want to go to the antiques market.   So, one might realistically attempt a production for the upper-medium market. In the city there are still many old craftsmen and also a great many more “unemployed” young, ready perhaps to invest some of their time capital. The thing to do, therefore, would be to set up a cooperative.
  Ezio Colombrino energetically set about the task of trying to form such a cooperative, with alternating fortunes: his partners often changed.   The idea of two collateral products occurred: one which might bring in immediate earnings, aimed at the medium-low market and bearing in mind that some members of the cooperative possessed neither craft nor culture and the other at a higher quality market.   The simplest symbols of the city were looked for: Punchinello (and it was decided to call the cooperative “calimone”, which is the local dialect word for the gesture of derision typical of this character), the blood of San Gennaro, Vesuvius…   One day Ezio showed me some “vulcanelli”’.   These were made with fragments of “vesicular” lava from the slopes of the volcano, which are very hard to find. The grey ones are found on Mount Somma, and therefore date from periods earlier than the Pliny eruption; the red ones (cataracchie in dialect) are more recent.   Once the stones have been found and chosen, processing is limited to flattening the base and to digging out the crater, with no interference whatever to the shape of the little volcano.   The tools used are as primitive as I have ever seen: a hoe and an old file for a chisel.   If something is dropped into the cone to produce smoke – a cigarette end, an incense stick or a “tricche tracche” (one of the many fireworks to be found on Neapolitan street-stalls) – the effect is surprising.   The small volcano is alive… So alive that my sacral respect for volcanoes prevents me from thinking of it as a souvenir…   I want to add another word or two about its formal quality. In recent products one often notices a search, for texture.   This frequently means re-worked or adulterated material.   In this case, perhaps unique in its anomaly, the material has not been messed about (the makers have confined themselves to flattening out a base and to boring a hole in the top: if these operations were not necessary the “vulcanelli” would truly be the children of Vulcan).  

In a context where everything is and has to be redeveloped,
this “vulcanello” seems to me worth remembering.

Enzo Mari   
June 1986


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Ezio Colombrino
architetto

via Medaglie d’oro, 20
80038 Pomigliano d’ Arco
tel. +39 081 8035779
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